L' Editoriale di Riccardo Lorenzetti nel ricordo di Italia - Germania
Duravano di più, le partite.
Italia-Germania, all’Azteca di Città del Messico, dura da cinquantatre anni, e non è ancora finita... Stamattina non si era ancora levato il sole e Facebook era già pieno di gente che polemizzava con Valcareggi, e quella storia della staffetta.
Ma duravano di più le cose in generale, non solo le partite di calcio: duravano le automobili, e i vestiti, che ci si metteva una toppa, e si passavano al fratello più piccolo. Durava il ricordo di una persona che non c’era più, e che tornava puntualmente mentre si raccontava un aneddoto rimasto celebre, o anche evocando una semplice battuta.
Durava di più la messa, e anche il comizio di fine campagna elettorale: ma nessuno andava oltre qualche innocuo sbuffo, perché anche annoiarsi un po' faceva parte del gioco. E adesso, dopo dieci minuti siamo già con il tablet a giocare a Candy Crush.
Duravano i film, e i cosiddetti sceneggiati televisivi, che c’è un sacco di gente, ancora adesso, che ricorda a memoria le battute di Trinità e del Secondo Tragico Fantozzi: o si commuove alla scena di Pinocchio c lohe viene inghiottito dalla balena, e ci ritrova Geppetto-Nino Manfredi.
Durava di più l’estate.
O, almeno, questa era la mia impressione: di fronte a quei pomeriggi con il solleone che mi parevano interminabili. E a quelle serate con il mangiadischi, che invece avrei voluto non finissero mai.
Duravano di più le canzoni. Battisti, De Andrè, Baglioni, De Gregori. Tutta roba che viene da quegli anni lontani, e tuttavia continua a camminare... Incorruttibile, come succede ai capolavori.
E fatalmente, duravano di più anche le cose di sport, che ci piacevano così tanto A cominciare dalle maglie da gioco, che ogni anno erano sempre le stesse, e non c'era il marketing a cambiarne i colori.
La maglia azzurra dell'Italia aveva un qualcosa di magico. Quella tedesca, bianca e nera, ci incuteva quasi timore: trovavamo esotico il giallo del Brasile, e bellissimo l'arancione dell'Olanda.
Duravano di più le emozioni, perché erano emozioni con le quali scandivi un momento della tua vita: e ti ricordi, come fosse ieri, della “fatal Verona”; e di quel lontano pomeriggio quando il Milan perse uno scudetto che sembrava già vinto... Così come ti ricordi il coraggio di Gigi Riva, l'eleganza di Antognoni e la sbruffonaggine di Chinaglia.... Bettega, che segna tuffandosi di testa e Altafini che risolve le partite entrando negli ultimi dieci minuti. L’eterna rivalità tra Mazzola e Rivera, Pulici e Graziani che faranno vincere lo scudetto al Toro e Savoldi del Bologna, che è bravo ma “due miliardi per un calciatore, e dove andremo a finire…”.
E poi, quelle cose che entrano nella leggenda, ma per un altro verso; come il gol di Capello che ci permette di espugnare Wembley... Proprio mentre Fantozzi è costretto a sorbirsi la Corazzata Potemkin per la ventesima volta.
Rifletto, pensando alla celeberrima Italia-Germania 4-3, a quante cose abbiamo lasciato per strada, e quanto esse ci sembrassero così importanti: e anche se non lo erano, servivano a cadenzare i nostri giorni e le nostre domeniche. Ci accompagnavano durante la vita, e a volte ce la rendevano persino gradevole.
Non mi ricordo nulla, ovviamente, di quel 17 giugno 1970.
Ricordo, però, la mia vecchia, religiosissima nonna. Che anche a trent’anni di distanza, e ormai prossima alla fine, non riusciva a capacitarsi del sacrilegio di sentir suonare le campane, in piena notte, per una partita di pallone... E che tra quelli che le suonavano, il più esagitato fosse proprio il prete.
E mi rivedo, bambino e sorridente, in quel suo ricordo da vegliarda: come se quella partita si fosse giocata la sera prima.
Anzi, che si stesse giocando ancora adesso.
E che fosse destinata a non finire mai.
Come succede con i ricordi più belli.