Le Grandi Sfide : la Fiorentina 1981/82 di Riccardo Lorenzetti

Chi ama il football e abita in Toscana, sa che prima o poi, presto o tardi, dovrà fare i conti con la Fiorentina.
Anche se non ne è tifoso.
Perché la Fiorentina ha qualcosa di magico. E’ qualcosa di più che una semplice squadra di calcio: vive una simbiosa assoluta e affascinante con la città che rappresenta. Ed il legame con la gente, è qualcosa di assolutamente profondo.
“Non sei per la Fiorentina?”
“No.”
“E allora, che Toscano sei?”
Eppure c’è stato un anno dove la piccola, orgogliosa Fiorentina è stata per l’ultima volta ad un passo dal sogno, ed ha recitato da protagonista assoluta fino alla fine. Successe nell’anno di grazia 1981-1982, uno dei campionati più mirabolanti e romanzeschi di sempre.
Primo, perché la Fiorentina e la Juventus si presero subito a braccetto e si lasciarono solo alla trentesima giornata (già quello è un fatto abbastanza raro): secondo, perché fece da prologo al Mundial di Spagna. Infine, perchè gli episodi che lo caratterizzarono ebbero un retrogusto da sceneggiato televisivo. Grandi protagonisti, colpi di scena, intrighi, fino, ovviamente, al finale mozzafiato.
L’atmosfera era incredibile. Nei bar non si parlava d’altro, e l’attesa per la domenica, pazzesca. Era un football dove non esistevano anticipi e posticipi: alla tv, programmi semplici come Domenica Sprint, o la Domenica Sportiva, che registravano ascolti da capogiro. E naturalmente il leggendario 90° minuto, alle sei del pomeriggio… Quella strepitosa compagnia di giro popolata da personaggi incredibili, alla Tonino Carino da Ascoli per intendersi. Gente con la presenza scenica di un bradipo e la dizione da attore di una filodrammatica paesana. Ma che, nell’Italia semplice di allora, funzionavano a meraviglia.
La Juve dell’81-82 era ancora quella che aveva dominato gli anni 70: un impasto di classe e grinta che Enzo Bearzot trapiantava spesso e volentieri nella sua Nazionale. Su quello, Boniperti volle innestare il talento di Liam Brady, fine regista irlandese che aveva fatto faville nell’Arsenal.
La Fiorentina, invece, era un orologino svizzero. Costruita dall’ambizioso Conte Pontello con la regia del furbissimo Tito Corsi.
Sfoggiava una maglia nuovissima e fin troppo originale: di un viola postmoderno con una presenza invadente di rosso e di bianco, ed un giglio stilizzato antistorico e antiestetico.
L’allenatore era Picchio De Sisti, e i migliori in assoluto furono due giovincelli di belle speranze: Pietro Vierchowod in difesa e Daniele Massaro, finta ala sinistra. In mezzo, il magistero araldico di Giancarlo Antognoni, il campione più amato dalla gente: fuoriclasse dal gioco sussiegoso ed elegante e dalla carriera bella e malinconica, molto in linea con le caratteristiche di quella città che lo venerava.
Il campionato di Antognoni, però, si interruppe drammaticamente il 22 novembre dell’81. Sul ginocchio (fin troppo alto) del portiere del Genoa che lo beccò pieno sulla tempia .
Ricordo ,a distanza di anni, la mestizia di quel pomeriggio drammatico, con Antognoni che usciva dal campo in barella e i telegiornali dell’epoca che aprivano le edizioni con gli accenti gravi e drammatici, riservati alle tragedie tipo il terremoto dell’Irpinia o Alfredino nel pozzo.
Quell’incidente ad Antognoni parve una cattiveria del destino.
E infatti, lo era.
Una cattiveria ingiusta e immeritata, che andava ad arricchire quella specie di leggenda nera che aleggia da sempre sulla squadra viola. Un incantesimo magico che, proprio nel momento di spiccare il volo, si diverte a mettere fuori combattimento il suo giocatore più bravo (è successo con Baggio, con Batistuta, con Pepito Rossi e da ultimo con Mario Gomez).
Come andò a finire quel campionato da feuilleton, è storia nota. L’ultima giornata, in un pomeriggio torrido di fine maggio: il rigore di Brady a Catanzaro e il gol annullato (ingiustamente) a Ciccio Graziani, in quel di Cagliari.
Doveva essere spareggio, e invece vinse la Juve, per la classica incollatura: rimase la rabbia di Firenze, e quell’adesivo (“Meglio secondi che ladri” ) stampato in migliaia di esemplari e che ogni buon tifoso viola applicò al lunotto posteriore della propria automobile…. Mentre a Torino stampavano la seconda stella che significava il raggiungimento dello scudetto numero venti.
Furono giorni tumultuosi, dove la sempiterna rivalità tra i due Club toccò il suo zenith.
Poi, arrivarono le caldi e dolci notti di Espana 82.
E lavarono tutto.
Naturalmente, rientrò anche Antognoni, nelle ultime giornate. In tempo per mettere il suggello, con la sua presenza, ad un campionato da romanzo.
Che non vide la Fiorentina con il tricolore sul petto, ma che sottolineò una volta di più la “diversità” di una tifoseria come quella di Firenze. Talmente legata ai suoi simboli e ai suoi affetti che una eventuale vittoria non nobilitata dal proprio campione più amato, sarebbe stata comunque una vittoria “mutilata”. Una vittoria bella, ma con un sapore meno pieno; che uno come Antognoni quello scudetto l’avrebbe meritato più di tutti.
Forse fu il destino (oltre a quella svista arbitrale) ad orchestrare l’epilogo del campionato 1981-82. Che nella foto per celebrare l’eventuale scudetto ci fosse Luciano Miani, e non Antognoni… Beh, quella si che sarebbe stata una cattiveria bella e buona.
E dal momento che la Fiorentina non ha una tifoseria, ma un popolo di inguaribili e romantici amanti, era giusto che andasse in quel modo.
E se non fu proprio giusto, fu comunque un bel finale.
Così, quando si chiuse il sipario, il pubblico applaudì. E quando se ne ricorda, applaude ancora adesso, che sono passati più di trent’anni.
Perché il calcio è vita.
E anche la vita, a volte, non è giusta.